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La prima regola della longevità:
non violare il corpo

Questa non è una prescrizione morale, né un invito alla moderazione ascetica. È, prima di tutto, un principio ontologico. Il corpo non è un oggetto esterno che ci appartiene, né una macchina di cui siamo proprietari e manutentori. Il corpo è il luogo stesso in cui esistiamo. È ciò attraverso cui vediamo, tocchiamo, desideriamo, ci orientiamo nel mondo. Merleau-Ponty lo definiva il corpo vissuto: non la materia anatomica, ma la trama sensibile attraverso cui si costituisce la relazione col reale.
Quando violiamo il corpo — quando lo sottoponiamo a forzature performative, a protocolli estetici che lo irrigidiscono o lo trasformano in vetrina identitaria, a ritmi di vita che ne ignorano i cicli — rompiamo la sua coerenza interna. Interrompiamo il suo dialogo con il mondo. Il corpo smette di essere ascolto e diventa resistenza, attrito, fatica.
Scheper-Hughes e Lock parlano del mindful body come di un corpo che è al tempo stesso biologico, sociale, emozionale e ambientale. Non esiste come unità isolata, ma come nodo di relazioni. Violare il corpo significa violare il suo ambiente, le sue storie, le sue memorie incarnate. Significa spezzare la continuità tra interno ed esterno, tra fisiologia e geografia, tra pelle e paesaggio.
La coerenza è ciò che contrasta l’entropia: è la capacità di mantenere una forma nel tempo, senza disperdere energia in continue ricostruzioni di sé. La longevità non nasce dall’aggiungere anni alla vita, ma dal restare fedeli alla propria forma vivente. Ogni volta che cerchiamo di diventare altro da ciò che siamo — più giovani, più efficienti, più performanti — consumiamo energia per inseguire un’immagine di noi che non ci appartiene. La coerenza, al contrario, non richiede sforzo. Richiede ascolto.
Tim Ingold ci invita a immaginare l’esistenza non come abitare un corpo, ma come tracciare una linea nel mondo: un cammino che si dispiega nel ritmo del respiro, del passo, del sonno, della relazione. Vivere è seguire questo ritmo. Violentare il corpo significa spezzare la linea, interrompere la melodia, stonare rispetto al mondo.
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Il tempo non va rallentato. Va riconosciuto.
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Accettare il corpo significa accogliere il suo modo di stare nel tempo.
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Non dobbiamo “combattere l’invecchiamento”: questa è già una forma di violenza.
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Il tempo del corpo non è quello dell’orologio, ma quello del ritmo.
Ogni forma di vita vibra su una propria lunghezza d’onda: un’armonia che la lega al luogo che abita, al clima, al respiro della terra stessa. Quando ci acceleriamo — per competere, per apparire, per performare — è il tempo che ci consuma. Quando ritroviamo il nostro ritmo, è la vita che torna a fluire.
E quando la vita fluisce secondo la sua misura:
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l’infiammazione diminuisce
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l’asse mente-corpo si distende
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la respirazione si fa ampia e piena
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le cellule non sono più in stato di allerta
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l’invecchiamento rallenta
Non perché lo abbiamo forzato, ma perché abbiamo ripristinato la coerenza.
La longevità non è una vittoria sulla morte. È un accordo col tempo.