Quand’ero piccolo - quando ancora il futuro era lontano e avvolto nel mistero delle scelte che avrei fatto - mi divertivo, insieme ai miei cuginetti, a immaginare cosa sarei stato da grande. Non ero un bambino particolarmente ambizioso: non c’erano figure mitiche a cui voler assomigliare o grandi eroi da imitare. No, niente di tutto questo, ma io un’idea, in realtà, me l’ero già fatta: da grande sarei diventato un maestro di scuola elementare. C’era così tanto amore nelle maestre della mia scuola e così tanta vocazione nelle loro parole e azioni che non avrei potuto immaginare niente di meglio per me.
Purtroppo, le storie di altri bambini non sono state così fortunate. Io, a dire il vero, non so nulla di che fine abbiano fatto i miei compagni di un tempo e non è certo a loro che mi sto riferendo. Io vorrei parlarvi di due bambini, non diversi dai vostri, nati molti anni dopo di me; bambini nati in un contesto diverso, in un momento diverso… con eroi diversi.
I loro nomi sono, erano, quelli di Ethan Peters (17) e Chloe Phillips (15). Questi due teenager non si conoscevano neppure, ma in qualche modo hanno percorso la stessa strada… fino a quando non si è (in)spiegabilmente interrotta.
La notizia della loro morte è pressoché passata inosservata, tanto eravamo basiti davanti all’orribile fine di Willy Monteiro Duarte (21) e dalle implicazioni sociali e sociologiche celate dietro la sua morte. Non basterebbe un post per spiegare quello che è successo, ma dobbiamo tentare.
E dunque torniamo ad Ethan e Chloe, e lo facciamo con forza perché quello che è successo loro proietta una traiettoria molto diversa che ci coinvolge tutti: genitori, scuola, società. Questi ragazzi, come tanti della loro età, fanno quello che possono per sopravvivere al mondo che abbiamo creato per loro ed è su questo che dobbiamo interrogarci. L’educazione contemporanea, il mondo in cui alleviamo i nostri figli, è un meccanismo subdolo che pochi oggi osano criticare tanto è pregno di buonismo e di negativo approccio alla complessità. In teoria, oggi un bambino non puoi neppure sfiorarlo e nessuno si sognerebbe mai di dire il contrario. I bambini non hanno colpe. I bambini sono inviolabili. Tutto procede così, proteggendoli ad oltranza da ogni forma di male, fino a quando qualcuno immagina che siano pronti a camminare con le loro gambe nel mondo. Il punto è che tutto quello che ha preceduto questo momento è innegabilmente sbagliato, anzi falso.
Improvvisamente, ecco che i bambini diventano bersaglio delle violenze. È una violenza psicologica quella che li seduce a provare piacere nel conflitto. I pedagogisti, molti dei miei amati colleghi, fanno le pulci ai genitori se il bambino viene ingiustamente obbligato ad essere spettatore delle loro liti. Il bambino ha bisogno di benessere, di idealità, di un mondo meraviglioso scevro da ogni negatività. È una violenza psicologica anche quella di subire inermi questi spettacoli in ogni dove (cinema, internet), ma qui il nostro potere non può nulla e non ce ne preoccupiamo più di tanto, immaginando che i bambini con la celebrata “autonomia” (il primo obiettivo sbandierato da ogni progetto pedagogico) sapranno affrontare la questione senza problemi.
L’ho sempre denominata la Pedagogia dell’inganno, perché ci vuole arte e intenzione nella creazione di quelle “bolle educative” che sono le pedagogie contemporanee: un’accozzaglia di concetti buonisti e melensi che hanno un solo obiettivo: allontanare i bambini dalla vita e precisamente dalla vita che sarà. Non si tratta, lo dico subito, di mostrare gli orrori della vita con la violenza di un’incudine che cade sulla testa, ma di creare spazi intermedi per cominciare a parlarne senza abbellimenti o contesti narrativi romanzati. La presenza del Covid 19 nelle nostre vite, con tutto il brutto che sta portando nelle nostre vite, ci ha insegnato proprio questo: che, con parole e semplicità, i bambini – anche i più piccoli – capiscono tutto cogliendone persino le più ardite sfumature.
Torniamo nuovamente ad Ethan e Chloe. Avevano quasi la stessa età e, potrei giurarci, anche gli stessi eroi: eroi meravigliosi capaci di combattere le ingiustizie, di assicurare sempre la verità e vincere tutte le sfide. Gli schermi del mondo ne sono pieni e lo saranno anche in futuro. A vederli così, qualcuno potrebbe affermare “beh, i giovani d’oggi hanno solo che da imparare!”. È vero, diciamo pure che nell’immaginario questi “eroi” siano reputati modelli positivi, ma c’è un piccolo dettaglio – trascurabile non del tutto – che non viene mai rivelato e su cui si compie l’inganno: questi eroi sono immortali. Sì, e questa magia si ripete ogni volta, come nella favola più bella, regalandoci un finale scontato. Un finale a cui tutti credono, che tutti sostengono, e che a nessuno viene in mente di dissacrare o di criticare perché nella nostra società parlare di morte è ancora tabù. E allora è preferibile ingannare i bambini/ragazzi piuttosto che innestare un ragionamento filosofico, o semplicemente accennarlo, che contempli la vera natura di ciò che siamo: mortali.
Ancora una volta, la pedagogia buonista per salvarsi dalle pastoie afferma che noi non dobbiamo insegnare nulla, ma stimolare il bambino affinché egli trovi la propria verità e che sviluppi da sé la conoscenza sul mondo. Molti si ostinano a dire che la scuola non abbia questi obiettivi di conoscenza (la parola insegnare è stata bandita da ogni documento programmatico). La natura ci dice, invece, l’esatto opposto. Mamma aquila non sta insegnando uno sport estremo ai suoi aquilotti; no, sta insegnando loro a vivere. Che lo crediate o no.
A volte, per capire la strada giusta, bisognerebbe entrare nella testa di un bambino per vedere il mondo che gli abbiamo confezionato a suo uso e consumo: un mondo fatto di illusione, dove credere a babbo natale è giusto e doveroso (vedessi che festicciole alla scuola dell’infanzia!) e parlare di vita è giusto fino a che la rappresenti come una favola a cui segue un lieto fine. Quando il discorso invece si fa “utile” allora diventa “pericoloso” perché si scontra con le idee dei genitori su questo e su quello. Il rispetto innanzitutto. Chiedo perdono, ma c’è qualche genitore sano di mente che prega perché il proprio figlio si suicidi in diretta su Tik Tok?
Ad Ethan e Chloe, e ai tanti come loro, qualcuno ha spiegato che la loro sfida era semplicemente questo? Qualcuno ha loro spiegato il senso della nostra vita e la finitezza del nostro essere? Loro sono morti e lo hanno fatto portandosi nella mente la stessa idea: che se avessero vinto la loro sfida “a chi ingurgitava di più antistaminici o antidepressivi” sarebbero entrati vittoriosi e gaudenti nel Guinness dei primati o tra i video con più likes, e tutti avrebbero preso esempio da loro. Forse andrà così, ma loro di certo non saranno li a prendersi gli applausi.
No, entrare in una bara non è esattamente la stessa cosa, ma c’è di più: nessuno ha vinto. Tutti piangono, e non sono gocce di collirio sulla faccia dell’attore di turno. Sono lacrime vere.
Morire in questo modo è solo stupido. Non riesco a definirlo in altro modo. Stupidi sono i genitori, ancora bastiti nel chiedersi come ciò possa essere accaduto, quando invece che cazzeggiare avrebbero potuto prendersi cura di spiegare, almeno loro, che la realtà è un’altra cosa. Stupida è la scuola che non è stata capace di dargli un solo elemento di verità. Stupidi siamo tutti noi, che sosteniamo a forza il perpetuarsi di questi modelli culturali e le bolle educative in cui teniamo i nostri figli tentando di allontanarli dalla vita a spada tratta, salvo poi darli in pasto alla vita agli arguti esperti di marketing che fanno profitto su tutto questo, senza neppure preoccuparsi di dar loro uno sgualcito bugiardino con quelle odiosissime le avvertenze e le modalità d’uso.
Il finale, il mio finale, vuole solo essere una sollecitazione: se amiamo i nostri figli – e non v’è dubbio che sia così – impariamo a sviluppare un rapporto autentico con loro. Parliamo con loro di tutto. Facciamolo subito, a piccole dosi e senza mentire, come la più amara ed efficace delle medicine. Giorno dopo giorno, essi saranno capaci di entrare nella vita che li accoglierà. La morale non appartiene solo alle favole: ogni buona storia di vita vera ne ha una. Questa mia è una di quelle.
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